LA STORIA
MAESTRO
MARTINO

Chi era Maestro Martino? Poco si sa della sua storia, per molti secoli dimenticata e a lungo rimasta sconosciuta, tanto che alcune notizie su di lui ci arrivano dall’America nella prima metà del ‘900, quando fu rinvenuto un libro di cucina titolato Libro de Arte Coquinaria – attualmente conservato presso la Library of Congress di Washington – dedicato al cardinale Trevisan, al secolo Ludovico Scarampi Mezzarota, che portava la firma di Maestro Martino.

Maestro Martino può essere definito il Leonardo da Vinci della cucina, paragone non eccessivo se si considera che lo stesso Platina – al secolo Bartolomeo Sacchi, grande umanista rinascimentale, nominato nel 1478 da Papa Sisto IV primo direttore delle Biblioteca Vaticana – cita Maestro Martino all’interno del suo De honesta voluptade et valetudine definendolo: “Principe dei cuochi ai nostri tempi, dal quale ho imparato a cucinare ogni pietanza.”

In Italia, invece, dobbiamo attendere sino alla seconda metà degli anni ’70 perché l’interesse di studiosi di gastronomia e storici dell’alimentazione si concentri sulla figura di Maestro Martino, grazie al ritrovamento di altri due esemplari del Libro de Arte Coquinaria – il primo conservato presso la Biblioteca Vaticana, il secondo presso la biblioteca di Riva del Garda. È proprio questo secondo esemplare, che porta la dedica al nobiluomo Gian Giacomo Trivulzio, che rende più chiare le vicende del nostro Maestro Martino.

LE ORIGINI

Martino de Rossi, anche noto come Martino da Como, nasce nella Val di Blenio nel secondo o terzo decennio del XV secolo. Ai tempi i territori della Valle del Blenio – valle secondaria che da Bellinzona conduceva attraverso il passo del Lucomagno nei Cantoni tedeschi – appartenevano al Ducato di Milano sotto l’egemonia della signoria viscontea e, successivamente, degli Sforza. Tali vie rappresentavano le principali strade di scambio e di comunicazione tra il Nord e il Sud Europa.

Successivamente è logico supporre che Martino, com’era pratica di quel tempo, dopo una breve formazione come cuoco nella Valle del Blenio, sia sceso verso Milano in cerca di fortuna. Troviamo riscontro di questa tesi nei registri sforzeschi, dai quali apprendiamo che Martino non rimase per molti anni alla guida della rettoria dell’ospizio di S. Martino Viduale – posto lungo la “strada francesca” o “maestra” – ma si trasferì presso la corte ducale già nel 1457 a imbandire la tavola di Francesco Sforza, dove affinò il suo gusto, la sua cultura e la sua tecnica, sperimentando ricette e inventandone di nuove.

LA SVOLTA ROMANA: L’INCONTRO CON PLATINA

Ritroviamo le tracce di Martino nel 1462, questa volta a Roma, alla corte pontificia a servizio del cardinale Trevisan, soprannominato “cardinal Lucullo” per l’opulenza dei suoi banchetti. Nelle cucine vaticane si consacra il suo successo e la sua fama di cuoco provetto, in particolare è apprezzata la sua fantasia creativa ed il fatto che, a differenza di molti suoi colleghi, Martino non ami copiare ricette già note, quanto piuttosto inventarne di nuove o rielaborare, con estro e gusto moderni, quelle tradizionali.

È proprio durante il periodo romano che Maestro Martino ha l’occasione di imbattersi nel Platina – altro autorevole personaggio storico lombardo – incontro che cambierà le sorti della storia della cucina moderna.

Da questa amicizia e dallo scambio reciproco nasce infatti De honesta voluptade et valetudine, stesura firmata dal Platina e datata 1468, in cui l’autore stesso riporta “Quale cuoco, o dèi mortali, può essere paragonato al mio Martino da Como, dal quale ho imparato la maggior parte delle cose che vado scrivendo?” E, a ben guardare, il debito di Bartolomeo Sacchi nei confronti di Maestro Martino è tutt’altro che irrisorio, se si considera che dal VI al X libro del Platina – la parte dell’opera che l’autore dedica alle ricette – 240 piatti dei 250 proposti devono la propria paternità a Maestro Martino che, non dimentichiamolo, a quei tempi ha già dato alla luce il suo Libro de Arte Coquinaria, composto negli anni 1450-1467.

IL RITORNO A MILANO

A partire dal 1470 circa ritroviamo Maestro Martino nuovamente nelle sue terre d’origine, a Milano, a servizio del conte Gian Giacomo Trivulzio, personaggio assai complesso e controverso alla corte degli Sforza tra contrasti e tradimenti, tra regno di Napoli e di Francia. Questi complessi passaggi storici compaiono in modo speculare anche all’interno dei ricettari di Maestro Martino che, sovente, presentano le pietanze con indicazioni che riportano “alla catalana” o “alla siciliana” a testimonianza dei trascorsi politici del Trivulzio. È qui che Maestro Martino conclude la sua carriera, lasciando il proprio segno nella storia del Rinascimento italiano. Padre della Cucina d’Autore italiana, Maestro Martino rappresenta l’archetipo del grande chef dell’era moderna.

A Maestro Martino si deve la stesura del Libro de Arte Coquinaria

Composto tra il 1450 e il 1467 il testo è considerato un caposaldo della letteratura gastronomica italiana che testimonia il passaggio dalla cucina medievale a quella rinascimentale. Chiaro e ben suddiviso, dallo stile preciso ed immediato, il testo è pensato per essere capito e usato da tutti – non a caso Maestro Martino scelse di comporlo in lingua volgare.

All’interno del libro i piatti non compaiono come una semplice lista di ricette ma, come in un trattato, gli alimenti sono separati coscienziosamente, in ordine di portata e per tipologia di ingredienti, in modo molto moderno. Martino, inoltre, ci suggerisce il rapporto tra le quantità e il numero di commensali, indicando recipienti e tempi di cottura – scanditi in preghiere, ancora a sottolineare il valore popolare dell’opera – arrivando a suggerire delle varianti per alcuni ingredienti nel caso in cui fossero di difficile reperibilità.

IL METODO DI
MAESTRO MARTINO

Il ruolo di Maestro Martino è quindi quello di infondere una indiscussa sapienza pratica, da un lato stimolando il recupero del gusto originale delle materie evitando l’abuso di spezie; dall’altro abbandonando orpelli e colpi di scena tipici della tradizione medievale, in favore dell’umiltà del metodo di preparazione e degli ingredienti, esaltando, ad esempio, il ruolo delle verdure e degli ortaggi per una dieta salutare, a quei tempi erroneamente considerati sinonimo di povertà. Con questo non vogliamo negare la vena geniale e innovativa di Maestro Martino, sempre aperto a sperimentazioni e a innovazioni che gli pervengono dalla conoscenza della cucina catalana, oltre che della cucina araba e orientale.

I Parallelismi con Platina

Tuttavia, come abbiamo avuto modo di ricordare in precedenza, è soprattutto grazie al Platina che l’opera di Martino è giunta fino a noi. Numerosi sono infatti gli argomenti in comune tra i due autori: l’importanza del sapore autentico delle materie prime e di una dieta povera, la valorizzazione del cibo del territorio e l’utilità di una regolare attività fisica come toccasana per una migliore qualità della vita, rappresentano solidi punti di contatto tra l’opera di Martino e il De honesta voluptade et valetudine scritto da Platina nel 1468. Questo secondo testo, scritto in latino, rappresenta un’opera fondamentale della tradizione culinaria italiana, tanto da essere stato il primo libro di gastronomia mai stampato. Ma non è da dimenticare il debito che lo stesso Platina ha nei confronti di Maestro Martino, tanto da definirlo “principe dei cuochi”, dato che 240 piatti dei 250 da lui proposti devono la propria paternità a Martino.

Gli esemplari esistenti

Del prezioso lascito di Maestro Martino, quattro sono gli esemplari di manoscritti del Libro de Arte Coquinaria giunti fino ai giorni nostri. Due li troviamo in America – rispettivamente il Buehler n. 19, conservato alla Pierpoint Morgan Library di New York e l’esemplare della Library of Congress di Washington – mentre altri due manoscritti sono conservati in Italia: l’esemplare Vaticato Urbinate noto come Anonimo Catalano e conservato presso la Biblioteca Vaticana e, infine, il manoscritto di Riva del Garda, che riporta la preziosa dedica al nobiluomo Gian Giacomo Trivulzio che ha permesso di ricostruire la storia di Maestro Martino: Martino de Rossi della Valle del Blenio.

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